L’ADATTAMENTO AL CAMBIAMENTO CLIMATICO DELLE CITTA’: L’APPROCCIO ECOSISTEMICO

A cura della commissione Sostenibilità ambientale CNGeGL

Introduzione

Molte delle nostre città si trovano sempre più spesso a dover gestire emergenze dovute al cambiamento climatico; tuttavia, l’inadeguatezza degli attuali strumenti di gestione del territorio e la mancanza di una visione strategica conducono a progettualità “tampone”.

La manualistica che normalmente orienta le azioni di mitigazione dell’effetto “isola di calore” riconosce nel cosiddetto verde urbano uno degli elementi più importanti: si tratta di un utilizzo orientato alla riduzione delle superfici impermeabili urbane – vere e proprie fonti di accumulo di calore – e di aumento dell’ombreggiatura attraverso l’uso di alberature: una tipologia di interventi che viene similmente adottata da molte città del mondo, con l’obiettivo però di laminare le acque di pioggia.

Tuttavia, trattare congiuntamente le due tematiche potrebbe condurre alla massimizzazione degli effetti (soprattutto in contesti come quelli del nord Italia, in cui l’emergenza climatica primaria è rappresentata dalla gestione delle acque di pioggia) e ad un’ovvia, maggiore sostenibilità economica degli interventi: in tal modo, il verde urbano potrebbe acquisire un ruolo strategico nell’adattamento al cambiamento climatico delle nostre città, in aggiunta agli altri servizi ad esso comunemente riconosciuti.

La gestione delle acque di pioggia urbane e l’uso del verde

Gli eventi alluvionali e gli allagamenti che stanno colpendo le nostre città dovranno, in primo luogo, trovare risposte in un governo del territorio di vasta scala nella gestione integrata dei bacini idrografici, che dovrà necessariamente affrontare il tema dell’uso del suolo dei territori urbanizzati, nonché di quella parte di dissesto idrogeologico dovuto a edificazioni e impermeabilizzazioni; a tale riguardo, anche nel nostro Paese si sono cercate risposte per le nuove edificazioni con l’introduzione del concetto di invarianza idraulica, ma le problematiche legate al patrimonio infrastrutturale ed edilizio esistente sono rimaste quasi del tutto insolute.

Sarà quindi importante (ri) prendere in considerazione tutto quel suolo dei nostri territori sigillato dalle varie artificializzazioni: durante i forti eventi atmosferici, su queste superfici impermeabili l’acqua non trova aree vegetate per essere trattenuta, tantomeno terreno permeabile per infiltrarsi, e quindi – rimanendo in superficie o scorrendo più a valle – diventa una delle cause dei noti problemi di allagamento; un’emergenza che sta colpendo molte città del mondo e che si manifesta attraverso un’ampia varietà di declinazioni, che vanno dalla gestione di alluvioni e allagamenti ai costi di conduzione degli impianti di depurazione, ai temi della qualità del reticolo idrico superficiale e sotterraneo.

Per ovviare a queste problematiche occorre agire su diversi fronti, in primo luogo utilizzando infrastrutture “grigie”, modificando e rafforzando il sistema di scolo, costruendo grandi vasche volano, rafforzando i sistemi di pompaggio ed incrementando le sezioni di portata in uscita; un approccio alternativo, poi, è l’utilizzo di infrastrutture verdi urbane, una scelta dettata sia da ragioni economiche che dalla quantità dei benefit indotti.

L’approccio integrato all’adattamento urbano: mitigare l’effetto “isola di calore” e laminare le acque di pioggia

Un approccio combinato dovrebbe partire da una visione a scala urbana in grado di identificare gli ambiti con priorità d’intervento, mappando le aree a rischio allagamenti e incrociandole con le zone più colpite dal calore urbano; una successiva discesa di scala a livello di dettaglio porterebbe poi allo studio delle tipologie di verde e alle relative tecniche per realizzarlo, facendo fronte a entrambi i fenomeni climatici.

Gli elementi di verde urbano comunemente utilizzati sono le alberature, il verde a terra, i tetti verdi e le facciate verdi.

Per ciò che riguarda le alberature, sarà molto importante combinare gli aspetti di vastità e densità dell’ombreggiatura con i temi della ritenzione dell’acqua piovana trattenuta dalla massa fogliare: a tal fine, la scelta di alberature con chioma ampia e apparato fogliare spesso può risultare molto efficace. Per la messa a dimora e il mantenimento delle alberature sono di fondamentale importanza la dimensione e la forma dell’alloggiamento a terra: un alloggiamento vasto e di materiale permeabile può aiutare ad infiltrare e contenere più acqua piovana, massimizzando anche i risultati in termini di vitalità della pianta e conseguente evapotraspirazione. Da considerarsi anche le soluzioni, già adottate in alcune città nordamericane, di utilizzo di vasche sotterranee, con accumulo durante gli eventi atmosferici e a lento rilascio per l’innaffio.

Il verde a terra è composto dalle aiuole verdi o vegetate da fiori o cespugli e dalle aree a prato o a orto, i cortili e i giardini privati: rientrano, quindi, in questo ambito tutte le frazioni di suolo che non siano state coperte da impermeabilizzazione. Ai fini della laminazione delle acque, ciascuna di queste frazioni di terreno – se opportunamente progettata – può diventare spazio utile per infiltrare o accumulare temporaneamente acqua piovana, tenendo comunque conto che per massimizzarne l’evapotraspirazione e ridurne l’albedo non sarà sufficiente la semplice de-impermeabilizzazione, ma occorrerà lavorare:

  • sul livello d’imposta, ponendo l’area in questione più in basso rispetto al livello delle superfici impermeabili, in modo da diventare il più possibile spazio di convogliamento;
  • sulla natura del substrato di suolo, massimizzando la permeabilità della superficie e la granulometria dei sottofondi per renderli accoglienti ai volumi d’acqua;
  • sul tipo di vegetazione, da minimizzare l’albedo e aumentare l’effetto di raffrescamento dovuto all’evapotraspirazione.

Anche nella realizzazione di tetti verdi acquista importanza la natura del substrato, assieme a quella della componente vegetazionale: sono, infatti, da preferire quelli con un substrato profondo al fine di garantire una più elevata potenzialità di accumulo d’acqua e una conseguente maggiore rigogliosità e durata della componente vegetazionale.

L’approccio ecosistemico

Con il lancio della nuova Strategia per l’adattamento ai cambiamenti climatici, l’Unione Europea ha esercitato un forte richiamo all’applicazione dell’approccio ecosistemico per affrontare i tre problemi legati ai cambiamenti climatici che maggiormente affliggono le città: alluvioni, isole di calore urbane (UHI) e scarsità d’acqua. Una predilezione imputabile soprattutto alla caratteristica intrinsecamente “win – win” di basso costo e multifunzione: in termini di effetto “isola di calore”, ad esempio, la creazione di aree verdi non solo riduce le temperature in città (variazioni fino a 10 gradi) e influisce sulle questioni correlate (costi minori per i sistemi di raffreddamento o condizionamento, maggiore benessere e meno decessi dovuti ai picchi estivi), ma sfocia in esternalità non richieste: un paesaggio più gradevole, spazi per lo sport e la ricreazione, maggiore resilienza a esondazioni, conservazione della biodiversità. Oltre, ovviamente, allo stretto beneficio diretto, individuabile in un risparmio di spesa per l’aria condizionata di circa 15 euro per ogni albero.

Il 4 dicembre 2022, infine, è entrato in vigore il DM n. 256 del 23 giugno 2022, che definisce i nuovi CAM, Criteri Ambientali Minimi per l’edilizia: un contributo fondamentale per una progettazione attenta all’intero ciclo sia del prodotto che dell’edificio, funzionale al raggiungimento degli  obiettivi di sostenibilità nell’ambito dell’economia circolare.

Qualità dello spazio urbano e comfort termico

Le qualità dello spazio fisico in grado di influenzare anche in minima parte il microclima urbano sono innumerevoli: i fattori meglio noti e più studiati dalla letteratura scientifica sono l’orientamento, la forma, l’altezza e i materiali degli edifici, la minore o maggiore presenza di verde o di elementi di ostacolo alla ventilazione.

Questi fattori alterano in vario modo i normali processi di evapotraspirazione, ventilazione, assorbimento delle radiazioni solari e altro  che si avrebbero in assenza di elementi artefatti quali edifici e strade, e contribuiscono in questo modo alla formazione di “isole di calore urbane”, acuendo il disagio termico delle persone e rendendo, di fatto, gli spazi urbani aperti (e non) meno vivibili durante i periodi più caldi dell’anno.

Un buon disegno dello spazio urbano è senza dubbio in grado di limitare il fenomeno, sebbene non si tratti dell’unico fattore in gioco: Ali Toudert e Mayer, ad esempio, sottolineano l’importanza dell’aspect ratio, ossia il rapporto tra altezza degli edifici e larghezza del piano strade, una considerazione molto utile nella progettazione di spazi ex novo, un po’ meno se si interviene sull’esistente, laddove occorre considerare tutta una serie di micro-interventi e soluzioni ad hoc in grado di contribuire positivamente al comfort termico di chi li vive.

Ad esempio, le strade molto ampie, pur raffreddandosi più velocemente durante le ore notturne, sono generalmente assai poco confortevoli durante il giorno, ragion per cui la creazione di filari alberati, di porticati o di pergolati è l’unica soluzione di progetto capace di migliorare sostanzialmente le condizioni microclimatiche diurne, aumentando l’area di superficie ombreggiata. Più in generale, la presenza di facciate sporgenti o di elementi ombreggianti tanto degli edifici quanto delle strade è una misura che riesce a garantire un buon livello di comfort termico; per di più, nel caso di strutture rimovibili, è possibile prevederne un uso flessibile negli scopi e nel tempo, massimizzando la quantità di calore e luce necessari durante i mesi invernali o utilizzandole anche in caso di pioggia.

In altre parole: qualsiasi opera di rinverdimento ha una duplice funzione, contribuendo tanto a ripristinare i naturali processi di evapotraspirazione precedentemente alterati, quanto a migliorare la piacevolezza e la qualità estetica dello spazio.

Occorre aggiungere, tuttavia, che il comfort termico non è influenzato solo dall’ambiente fisico o dal livello effettivo delle temperature: trattandosi di un indice tipicamente soggettivo (che va spesso sotto il nome di PET, Physiologically Equivalent Temperature), dipende anche da variabili percettive o da quello che viene definito “adattamento psicologico” al clima, un fattore che, al pari delle condizioni microclimatiche, è possibile almeno in parte controllare attraverso il disegno dello spazio fisico. La sensazione di comfort termico, infatti, dipende dall’esperienza immediata e di breve termine, ed è normalmente acuita in presenza di situazioni contrastanti, motivo per cui la presenza di un elemento di differenziazione come un’area verde in un ambiente che ne è generalmente sprovvisto, assume un valore particolarmente alto. In quest’ottica, potrebbe essere innovativo immaginare progetti che influenzino anche la percezione del calore, favorendo l’adattamento termico: in letteratura, una delle soluzioni sovente proposte è la creazione di spazi ed elementi transitori, discontinui e misti, in grado di giocare sul contrasto.

In tutti i casi, è indispensabile basare qualsiasi intervento su un’analisi preventiva che consideri il tempo e il tipo di fruizione degli spazi urbani, in modo da intervenire laddove necessario; nondimeno, dal momento che una buona progettazione climatica degli spazi è in grado di aumentarne l’attrattività, è possibile farvi ricorso anche con scopi di rivitalizzazione di spazi degradati o anche semplicemente poco fruiti.

Spazi verdi da vivere: progetti di salute urbana

In tempi relativamente recenti, la tematica del verde nella manualistica urbana ha assunto significati che vanno ben al di là delle pur rilevanti questioni estetico-formali: le aree verdi e gli spazi aperti intesi come vera e propria infrastruttura urbana sono al centro delle politiche di riqualificazione delle città, ed intersecano questioni connesse al governo delle acque e alla permeabilità dei suoli, all’inquinamento dell’aria e alla mitigazione e all’adattamento al cambiamento climatico, alla salute fisica e mentale e al consumo energetico attraverso il governo della “isola di calore”. Senza dimenticare un tema di grandissima attualità e importanza quale il significato sociale ed inclusivo della progettazione e manutenzione partecipata delle diverse tipologie di verde urbano, dai giardini agli orti.

Conclusioni

In questo scenario, appare utile tracciare le aree di maggiore interesse professionale.

  • La prima è quella degli standard urbanistici in materia di verde, che trovano spazio in una serie di strumenti programmatici come i Piani del verde o i Regolamenti del verde.
  • La seconda è relativa all’opportunità di “fare verde” in ambiti differenti da quelli indicati dalle politiche urbanistiche, connessi – ad esempio – al risparmio energetico, alla gestione della “isola di calore”, ai piani per il clima e alle regole per l’invarianza idraulica, fino ad arrivare alle esperienze di finanziamento del verde attraverso le pratiche di compensazione volontaria delle emissioni di CO2, nonché agli interventi per la forestazione urbana.
  • La terza affronta i problemi della progettazione delle aree verdi nell’ottica del superamento delle categorie tradizionali provenienti dalla matrice urbanistica e della relativa frammentazione: le principali indicazioni riguardano una più stretta integrazione tra verde e struttura urbana, con particolare cura degli elementi di connessione e di continuità della rete del verde come viali e spazi aperti, necessari a realizzare concretamente quella green infrastructure in grado di offrire al contesto urbano i molteplici servizi ecosistemici che le sono propri.
  • La quarta riguarda la progettazione e l’uso del verde come elemento di coesione sociale, nelle sue differenti forme.

In definitiva:

  • le metodologie esplicitate anche dai Criteri Ambientali Minimi per la progettazione e la manutenzione del verde urbano affrontano la questione con una impostazione integrata, atta a suggerire logiche processuali piuttosto che schemi preordinati, e quindi possibili integrazioni della progettazione del verde con altri ambiti come la salute o il benessere sociale, in luogo di soluzioni standardizzate;
  • le linee guida (che derivano da molteplici casi di studio) mirano a suggerire criteri di progettazione coerenti con le diverse tipologie di spazi verdi, così da favorire la realizzazione di quelle green infrastructure ai quali sono affidati compiti particolarmente impegnativi in ottica di contrasto al cambiamento climatico (e ai suoi effetti sull’uomo e sulla società).

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