RECUPERO E RIUSO DEGLI EDIFICI E DELLE AREE RURALI

Progettare il recupero dell’architettura rurale

A cura della commissione Sostenibilità ambientale CNGeGL

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Premessa

Gli edifici rurali tradizionali, segno di una diffusa cultura popolare e materiale, rischiano di essere irreversibilmente cancellati dalla spinta dell’industrializzazione e dall’esigenza di produzione di energia. La loro fragilità rispetto a contesti e interessi diversi ha comportato spesso una difficoltà nel mettere a fuoco un ruolo e un valore condiviso nel territorio. L’incertezza si è spesso tradotta nel degrado, penalizzandone ogni potenzialità di risorsa economica e culturale. L’entrata in vigore della Convenzione Europea di Firenze ha riconosciuto come la costruzione del paesaggio sia l’effetto delle capacità della popolazione locale di percepire ogni giorno il proprio territorio, di cosa considera e riconosce come proprio valore e il perché. La percezione, la comprensione e la valutazione sono alla base di ogni scelta progettuale e decisione di piano. È necessario comprendere per poter proteggere.

La gestione di un rilievo attento dell’esistente è essenziale per fornire informazioni attendibili a decisori e operatori, dalle autorizzazioni agli interventi, alle concessioni di finanziamento. La caratterizzazione aiuta a definire cosa sia importante, cosa abbia significato, in termini di tutela e valorizzazione. Con un’errata percezione dell’esistente anche “un bel progetto” può arrivare a distruggere dei valori insostituibili. Il rischio è che il futuro di questi insediamenti sembra dipendere unicamente da destinazioni di riuso lontane dall’azienda agricola, in una propensione al cambiamento che tenderà ad aumentare per le influenze della globalizzazione. La sfida è quella di rispondere alla comunità nazionale e internazionale che chiede di trovare soluzioni per uno sviluppo rurale sostenibile, dove la gestione di questo patrimonio non sia dominata dal passato, né orientata ai soli aspetti eccezionali. Questo approccio richiede di definire nuove strategie di recupero connesse al riuso dell’architettura rurale, dove i cambiamenti futuri correlati ad una comprensione della vulnerabilità di ogni struttura e alle sue potenzialità di cambiare tengano conto delle caratteristiche locali e regionali, delle diversità insediative, ma anche dei motivi e delle cause di abbandono e conversione.

Progettare il recupero dell’architettura rurale

Il recupero dell’architettura rurale coinvolge interessi di diverso ordine e grado, pubblici e privati e la scelta del tipo d’intervento dipende dall’ottica con cui si legge questo patrimonio. L’imprenditore agricolo considera i volumi come un bene strumentale da utilizzare. In questo ambito non sono ammessi interventi di recupero motivati da ragioni puramente estetiche o culturali: l’investimento richiesto deve risultare economicamente conveniente e il riuso essere remunerativo e saper rispondere alla complessiva organizzazione del lavoro. L’amministrazione locale, che rappresenta gli interessi della collettività, guarda agli stessi pensando ai bisogni più immediati che il loro recupero potrebbe soddisfare. Gli enti territoriali, che guardano all’architettura rurale nel suo complesso di bene storico-culturale, mirano alla sua salvaguardia per valorizzare i territori, esigendo interventi che ne rispettino i caratteri di qualità formale. Problemi diversi che esigono risposte adeguate, per comprendere come vada realizzato l’intervento in ognuno di questi casi. Ed il “come” coinvolge tanto il problema della forma quanto quello della funzione, cioè della nuova destinazione d’uso, o di riuso, per permettere all’edificio di continuare a vivere. La necessità di dover rispondere ad interessi diversi rende il recupero dell’architettura rurale particolarmente complesso, dovendo coniugare le ragioni della conservazione (valore storico-paesistico dell’immobile, stato di fatiscenza e di degrado) e quelle della conversione (esigenze attuali e possibilità di adeguamento della struttura preesistente) per valutare la realizzabilità e la convenienza del progetto, oltre alle contingenze di natura energetica.

L’interesse alla conservazione è cresciuto negli ultimi trent’anni del secolo scorso in coincidenza con il dilagare di una nuova edificazione di tipo industrial-prefabbricato. L’attenzione al paesaggio agrario, che si è riflessa in una maggior consapevolezza del valore sociale ed economico degli edifici dell’agricoltura, storici o tradizionali, ha invitato a considerare le possibilità di salvaguardare l’architettura rurale come un nuovo connettivo sociale e ambientale. Negli attuali scenari della mobilità, in perenne e continua trasformazione, questi volumi sembrano ancora rappresentare una simbiosi fra natura e cultura, dove la memoria rivive e l’uomo si orienta e si riconosce. L’interesse alla conversione è emerso soprattutto nell’ultimo decennio, unendo il recupero al riuso. Si è considerato che recuperare e conservare le sole strutture fisiche, senza ripensare ad un loro adeguata riconversione funzionale, significasse realizzare un’operazione priva di significato e destinata ad esaurirsi in breve tempo. Le cause di questa nuova attenzione sono state diverse : la crescita della domanda per residenze in campagna, la disponibilità di finanziamenti, la volontà delle amministrazioni competenti di contenere il consumo del suolo e, ultimissima, quella di rendere tali organismi edilizi produttori di energia e non solo consumatori. L’effetto si è concretizzato nei modi più diversi, arrivando spesso ad alterare irreversibilmente gli edifici preesistenti. Per frenare questo inesorabile processo di degrado, i volumi più “pregiati” sono stati vincolati, ma non sempre questa scelta è riuscita a risolvere i problemi della struttura esistente: spesso il vincolo, soprattutto quando inserito nella cornice di un’azienda ancora attiva, ha decretato un più immediato abbandono del bene.

Se il recupero ha, in prima battuta, la funzione di tutelare il patrimonio architettonico per sottrarlo alla condizione di degrado e abbandono che rischia di farlo scomparire, bisogna considerare che, in certi ambiti e soprattutto in ambito rurale, questo obiettivo può essere raggiunto solo mettendo il fabbricato in condizione di produrre ancora.

Escludendo a priori ogni politica che si prefigga di recuperare tutto ad ogni costo, che risulterebbe perdente in partenza, si pone innanzitutto il problema di comprendere quale parte del patrimonio debba essere salvaguardata o possa essere ancora recuperata, in ordine a:

  1. Condizioni di consistenza dell’organismo edilizio: fino a che punto e fino a quale livello di degrado risulta ancora conveniente il recupero?
  2. Stato di alterazione: molti edifici sono stati riadeguati utilizzando materiali incongruenti: fino a che punto gli interventi condotti hanno o non hanno pregiudicato la struttura che si vorrebbe recuperare e fino a quando quest’ultima riflette ancora i valori di quel patrimonio che si vuole salvaguardare?
  3. Tipo di abbandono: considerando che il fenomeno coinvolge fabbricati molto diversi fra loro, divenuti rapidamente obsoleti per l’accelerata evoluzione dei processi produttivi, dai sili degli anni ’30, alle stalle prefabbricate realizzate negli anni ’70.

Conversione e conservazione possono rappresentare due strade, o una soltanto se si considera che una conversione ben guidata consente e garantisce la salvaguardia di certi caratteri peculiari che si vogliono conservare.

Per scegliere la strada giusta da percorrere occorre:

    1. definire il grado di conservazione associando ad un’intrinseca valutazione del bene di partenza una serie di fattori ulteriori, quali:
      • il contesto produttivo;
      • le funzioni da accogliere;
      • le esigenze di circolazione dei nuovi mezzi;
      • gli uomini;
      • le attività aziendali;
  1. rendere la conversione congruente alle risorse umane e materiali disponibili e con i valori interessati dall’intervento.

La soddisfazione di queste istanze richiede di affrontare il tema del recupero da un punto di vista globale, considerando il patrimonio esistente nella sua interezza e nelle sue correlazioni continue con i fattori che lo hanno generato e che continuano a modificarlo, per essere in grado di valutare quanto e cosa conservare e fino a dove e come convertire.

Il ruolo che l’architettura rurale può ancora svolgere nella costruzione dell’identità dei paesaggi agrari e culturali richiede che queste scelte siano indirizzate ad una strategia di pianificazione economica sostenibile, dove la sostenibilità mette a confronto il ruolo patrimoniale che questi volumi possono ancora offrire con le esigenze di sviluppo del territorio. Nell’attuale situazione italiana, sono poche le politiche di questo tipo e nella maggior parte dei casi la decisione se conservare o distruggere il patrimonio dell’architettura rurale resta affidata alla sensibilità e alla cultura del singolo, pubblico o privato. Non sempre la scelta coincide con l’interesse della collettività e con la tutela dell’identità culturale del territorio. Il progetto di recupero è strettamente connesso alla scelta di una qualità da mantenere. L’avanzato stato di degrado degli edifici rurali tradizionali è segno di come questa scelta non possa essere lasciata alla discrezionalità personale. La salvaguardia dell’architettura rurale richiede che questi edifici possano continuare a vivere, valorizzando ciò che oggi non lo è. Perché ciò sia possibile è necessario individuare i fattori chiave che consentono di valutare in via preliminare gli effetti di ogni azione, in modo che i risultati degli interventi siano non solo coerenti con l’organismo edilizio originario, ma anche convenienti per la competitività economica, l’impresa agricola, il territorio, il paesaggio e l’ambiente.

Agricoltura e diversità paesaggistica

In Europa la politica e le pratiche agricole stanno subendo sensibili cambiamenti che si riflettono inevitabilmente sulla cancellazione dei paesaggi culturali: l’agricoltura tradizionale ha ceduto il passo all’agricoltura intensiva grazie ad un processo accelerato dalle sovvenzioni, con grandi ripercussioni sul paesaggio rurale.

Nel 1995 l’Agenzia europea per l’ambiente pubblica il primo rapporto sullo stato ambientale europeo, denunciando un avanzato deterioramento dei paesaggi e dell’ambiente naturale (Stanners and Bourdeau, 1995). La valutazione di Dobris mette in evidenza come il consistente calo della percentuale della popolazione europea su quella mondiale sia attribuibile al basso tasso di fertilità rilevato in molti paesi, e come ciò si rifletta in un tenore di vita molto squilibrato e in una forte importazione dei prodotti alimentari (paesi dell’Europa centrale e orientale) e grandi quantitativi di mangime per animali (Europa occidentale). Mentre la conoscenza e l’attenzione pubblica e politica sui temi dell’ambiente naturale rimane generalmente insufficiente, quest’emergenza sottolinea l’urgenza di valutare le implicazioni ambientali dei programmi economici e di sviluppo a lungo termine.

Alla fine dello stesso anno il consiglio di Europa presenta la Strategia pan-europea della diversità biologica e paesaggistica. Nella dichiarazione adottata a conclusione dei lavori dai Ministri dell’ambiente di cinquantacinque Stati, si definiscono le strategie prossime venture (1996-2016) per promuovere ed integrare le diversità biologiche e paesaggistiche nelle politiche strutturali regionali e nella pianificazione urbana e rurale.

Dal momento che il settore rurale in Europa ha la maggior interazione diretta con la diversità paesaggistica e biologica le azioni dovrebbero, in particolare, focalizzarsi sull’agricoltura e sull’economia rurale. Fra gli ecosistemi da salvaguardare una particolare attenzione viene riservata a quello montano, per cui si richiede di intraprendere azioni e sovvenzioni per sostenere lo sviluppo rurale, oltre che un aumento dei rendimenti dell’agricoltura in montagna. L’azione per implementare la strategia dovrebbe focalizzarsi sui settori chiave che incidono sull’ambiente naturale: l’agricoltura, la silvicoltura, la pesca, l’energia, l’industria, il trasporto, la politica strutturale e regionale, la gestione delle acque e della progettazione rurale ed urbana.

 

Per salvaguardare la diversità paesaggistica e biologica si specifica che in agricoltura occorre:

  1. riconoscerne il ruolo vitale per la gestione dei paesaggi e degli habitat seminaturali, così come per il mantenimento della diversità biologica;
  2. sostenere questo ruolo nei processi decisionali;
  3. incoraggiare una gestione assennata del territorio agricolo, includendo metodi di agricoltura biologica;
  4. ridurre (per quanto possibile) l’uso dei fertilizzanti e degli antiparassitari.

Per quanto riguarda le politiche regionali e strutturali occorre fare in modo che le politiche per la conservazione della diversità paesaggistica e biologica siano complementari alle politiche strutturali e regionali, particolarmente nel campo dell’economia rurale e dell’economia estensiva, cambiando così il tradizionale assistenzialismo in sviluppo sostenibile.

In materia di pianificazione urbana e rurale si richiede di integrare i diversi interessi per la pianificazione delle zone rurali e urbane in modo che i valori naturali e del paesaggio siano salvaguardati, particolarmente nelle zone di grande valore, dal punto di vista della loro diversità biologica e paesaggistica e nelle aree vaste.

Per la diversità paesaggistica vengono definite le azioni per mantenere ed incrementare i paesaggi naturali e culturali di interesse:

  • delle principali forme geomorfologiche che caratterizzano le zone geologiche o climatiche in funzione di quattro criteri che sono: la rarità, l’unicità la rappresentativa e i caratteri naturali. Le caratteristiche geologiche possono includere sistemi fluviali, di dune, barriere costiere, organismi fossili eccetera;
  • dell’applicazione combinata di processi ecologicamente sani e dell’uso sostenibile delle risorse naturali;
  • della gestione non intensiva degli habitat semi-naturali per la fauna e la flora;
  • di usi del suolo e tessiture insediative propri di una regione o di una cultura con particolare attenzione a disposizione dei campi, terrazzamenti, dimore e tenute storiche. Le caratteristiche culturali possono includere l’architettura vernacolare rurale, le tenute dei parchi storici, antichi sentieri per il pascolo, i canali e i fossi, i fossati, i vivai ittici, i canali navigabili artificiali, il sistema insediativo e quello delle aree agricole;
  • del carattere pittoresco eccezionale rappresentato da caratteristiche visuali dei paesaggi naturali del continente europeo.

Le nuove funzioni dell’agricoltura

Le politiche in atto riflettono i significativi cambiamenti dell’identità delle aree agricole: non c’è più una campagna di riferimento, ma diversi modelli in relazione allo sviluppo territoriale.   I modelli individuati dai geografi sono (Celan, 1988):

  • le campagne agricole, dove la produzione primaria è ancora l’attività principale ed è correlata ad altre attività economiche;
  • le campagne fragili, dove si registra un esodo degli addetti e una diminuzione delle imprese perché l’agricoltura non è competitiva;
  • le campagne periurbane, che riguardano aree agricole inserite in processi di forte pressione di trasformazione;
  • campagne viventi, aree che per le loro caratteristiche di un’agricoltura di qualità restano fortemente attrattive anche se è modesto l’impiego di manodopera.

Sviluppo rurale nella cooperazione transfrontaliera

Alla fine degli anni Novanta l’allargamento dei paesi membri dell’Unione Europea (U.E.) rappresenta una sfida per lo sviluppo economico, per la competitività e per la sostenibilità di ogni politica di sviluppo territoriale. Il territorio rurale è al centro delle politiche per lo sviluppo sostenibile per i diversi fenomeni che stanno profondamente mutando i ruoli e la fisionomia degli ambiti extraurbani, soprattutto per risolvere l’insorgere di conflitti del rapporto città/campagna. Obiettivo è evitare che un’eccessiva attenzione alle aree urbane, nel concetto di periurbanità, legga le aree agricole come area residuale della città, facendone indifferente ricettacolo di tutti i suoi sottoprodotti più negativi quali inquinamento, discariche abusive, logistica ingombrante e incontrollata, aree di espansione edilizia senza regole, eccetera.

Per rispondere alle nove domande e chiarire i comuni obiettivi di sviluppo, nel maggio 1999 viene redatto lo Schema di sviluppo dello spazio europeo (SSSE). Il documento è curato dagli stati membri, in collaborazione con l’U.E. Anche se l’Unione si presenta come parte di un continente ad alto grado di urbanizzazione, solo un terzo della popolazione vive nelle aree metropolitane. La struttura territoriale resta caratterizzata perlopiù da aree rurali solo in parte densamente popolate. È un complesso intreccio di città grandi, medie e piccole che in molte parti costituisce la base per strutture territoriali urbanizzate anche nelle aree rurali. Un europeo su tre vive in città medio-piccole al di fuori dei grandi agglomerati. Cambia il tessuto dell’Unione e della società. Nonostante la tendenza all’immigrazione soprattutto dei giovani, le analisi allegate al documento prevedono un aumento progressivo dell’età media della popolazione. La futura società europea sarà caratterizzata da una maggior presenza degli anziani che, rispetto alle generazioni precedenti, godranno di maggior mobilità, benessere e dinamismo. La fascia dei giovani sarà rappresentata sempre più dai figli degli immigrati che si troveranno spesso a cavallo fra due culture. Dopo la famiglia plurigenerazionale della società rurale, anche la famiglia media (coppia con figli) tende a scomparire. Le trasformazioni nella struttura della popolazione rafforzano la tendenza all’urbanizzazione, con notevoli conseguenze sul territorio, anche su ampia scala, in materia di domanda e offerta. In crescita anche i cambiamenti nella composizione della popolazione e nelle scelte di localizzazione e tipo di alloggi, con conseguenti ripercussioni sullo spazio. La pressione dell’urbanizzazione in periferia urbana richiede soluzioni comuni. Le tendenze demografiche sollevano problematiche inerenti allo sviluppo sostenibile delle regioni e città metropolitane, nonché alla possibilità d’individuare in futuro giuste soluzioni per il recupero economico delle regioni rurali.

Gli effetti dell’espansione delle città influiscono su:

  • aumento del consumo di suolo anche nelle aree agricole;
  • aumento del volume dei mezzi di trasporto privati;
  • consumo di energia, costi delle infrastrutture e dei servizi urbani;
  • aumento dei rifiuti;
  • inquinamento ambientale;
  • degrado del paesaggio agrario.

Con l’aumento della quantità dei rifiuti, nell’UE aumentano le aree destinate al loro interramento, mettendo in evidenza una forma specifica di utilizzo del suolo che pone sfide particolari alle strategie di sviluppo territoriale delle città e delle metropoli, ma anche delle regioni rurali. Rispetto a queste emergenze di sviluppo territoriale dell’UE, le zone rurali rivestono un’importanza analoga a quella delle metropoli o delle grandi regioni urbane. Il ruolo e la funzione delle zone rurali si trasforma attraverso una crescente interdipendenza con le zone urbane. Alcune funzioni rurali tipiche, come l’agricoltura estensiva, la silvicoltura, la conservazione e lo sviluppo del patrimonio naturale hanno bisogno di grandi spazi.   Nelle regioni rurali i centri urbani sono parte integrante del loro sviluppo.

Il rapporto città-campagna non è lo stesso nelle zone in cui la densità di popolazione è elevata e in quelle dove invece è bassa. Le zone rurali meno densamente popolate, soprattutto quelle più distanti dalle aree metropolitane, sono maggiormente in grado di conservare il loro carattere rurale. Nelle zone maggiormente popolate la pressante urbanizzazione assorbe i territori rurali con una serie di ripercussioni diverse, che possono essere positive se si considera il potenziale allargamento alla campagna delle opportunità culturali offerte dalle città e lo sviluppo di impianti di ricreazione per il tempo libero delle zone rurali. Ma si innescano anche una serie di effetti altamente degenerativi come l’abbandono del patrimonio, inquinamento, frammentazione degli spazi verdi e perdita del carattere rurale. Trovare una soluzione di salvaguardia nello sviluppo sostenibile è una delle sfide più difficili.   Il patrimonio naturale e culturale di queste aree rurali minacciate costituiscono valori chiave su cui basare la ripresa economica e sociale grazie, ad esempio, allo sviluppo sostenibile del turismo e delle attività ricreative.

Mettendo in evidenza come le zone rurali contribuiscano in maniera determinante alla diversità culturale, naturale e ambientale dell’UE, lo Schema raccomanda la definizione di modelli di sviluppo diversificati delle aree rurali, la cui influenza non può esaurirsi nella zona d’influenza suburbana delle città, né nella dipendenza dall’attività agricola o dal turismo, e va ben oltre la semplice garanzia di una base di produzione alimentare e della protezione delle risorse. Fra le situazioni più complesse da affrontare emergono le regioni rurali svantaggiate.

Per tutte le aree rurali i nuovi fattori chiave di sviluppo sono:

  • le possibilità di accesso alle infrastrutture e al sapere, in quanto una buona dotazione di infrastrutture e un facile accesso alle informazioni fanno delle zone rurali potenziali aree di attrazione e di diversificazione economica;
  • lo sviluppo del patrimonio naturale e culturale dagli spazi rurali.

Per lo sviluppo sostenibile è necessaria una politica che promuova la competitività e sostenga l’integrazione;  su queste premesse il documento:

  • definisce gli elementi determinanti di uno sviluppo in vista di una maggiore integrazione economica e sociale dell’UE;
  • detta indirizzi non vincolanti per le politiche territoriali e settoriali;
  • indica la promozione di strategie di sviluppo territoriale nel quadro della cooperazione transazionale e transnazionale, ivi inclusi lo spazio rurale circostante e le sue città.   I problemi si pongono anche rispetto alle caratteristiche della strategia di sviluppo territoriale da definire negli undici paesi candidati all’adesione all’UE, che presentano notevoli disparità sia a livello di occupazione che di potenziale economico.

L’attuazione delle opzioni politiche richiede un sostegno attivo di collettività ed amministrazione delle piccole città delle zone rurali, sino alle grandi regioni metropolitane a livello regionale e locale. Molti dei compiti dell’assetto territoriale possono essere assolti in maniera soddisfacente solo grazie alla collaborazione di tali collettività, al di là delle frontiere nazionali. La partecipazione della collettività e la cooperazione transfrontaliera hanno ruoli chiave nell’applicazione dell’SSSE. Alle collettività regionali e locali si propone di cooperare più attivamente ad uno sviluppo sostenibile del territorio, attraverso azioni d’informazione e cooperazione che prevedano a livello regionale, fra l’altro:

  • programmi d’azione per la manutenzione dei nuclei abitati nelle zone rurali che subiscono l’esodo della popolazione e l’abbandono delle terre;
  • sviluppo di paesaggi ed ecosistemi d’importanza regionale ed europea;
  • programmi di conservazione e di valorizzazione del patrimonio culturale comune.

A livello locale, viene indicata l’instaurazione di partnership città-campagna che mettano a profitto le prospettive offerte in maniera di nuove strategie di sviluppo territoriale delle città e della loro zona d’influenza rurale. All’Unione si raccomanda di verificare sistematicamente e periodicamente, a livello europeo, l’incidenza sul territorio delle politiche settoriali quali la politica agricola comune, la politica dei trasporti e delle reti trans europee, la politica strutturale, ambientale, della concorrenza, nonché della ricerca e della tecnologia.

Principi per una politica rurale integrata

Mentre cresce l’attenzione dell’opinione pubblica sulla qualità della vita in generale e, in particolare, sui problemi legati alla qualità dei prodotti agroalimentari, alla salute, alla sicurezza e al tempo libero in particolare, emerge l’esigenza di trovare nuovi modelli di sviluppo per le aree rurali che coprono oltre l’80% del territorio europeo. I problemi legati allo sviluppo rurale dell’Unione europea vengono messi a fuoco a Cork nel novembre del 1996, nel quadro della presidenza irlandese dell’UE. A conclusione di una conferenza internazionale sulle prospettive future dell’Europa rurale, i principi essenziali per costruire una politica rurale integrata vengono sintetizzati in dieci parole chiave:

  1. Priorità delle aree rurali      

Lo sviluppo rurale sostenibile deve essere al primo posto dell’agenda dell’Unione europea, come principio fondamentale di ogni politica rurale nell’immediato futuro e dopo l’allargamento.   Obiettivi devono essere arginare l’esodo rurale, combattere la povertà, promuovere l’occupazione e le pari opportunità, rispondere alle crescenti richieste in materia di qualità, salute, sicurezza, sviluppo personale e tempo libero, nonché migliorare il benessere delle popolazioni rurali. L’esigenza di preservare e migliorare la qualità dell’ambiente rurale deve essere integrata in tutte le politiche comunitarie interessate allo sviluppo rurale.   Occorre un bilancio più equilibrato della spesa pubblica tra aree rurali ed urbane, investimenti per infrastrutture e per l’istruzione, per la salute e per le comunicazioni. Una quota crescente delle risorse disponibili dovrebbe essere destinata a promuovere lo sviluppo rurale e raggiungere gli obiettivi ambientali.

  1. Approccio integrato

La politica per lo sviluppo rurale deve essere concepita in modo multidisciplinare e applicata in modo multisettoriale, con una dimensione territoriale. L’approccio integrato implica che questa politica sia estesa a tutte le aree rurali dell’Unione, rispettando il principio della concentrazione attraverso la differenziazione dei cofinanziamenti per le aree più svantaggiate. Comprendere nella stessa cornice legislativa adeguamento e sviluppo rurale, diversificazione economica – in particolare piccole e madie imprese e servizi rurali – gestione delle risorse naturali, miglioramento delle funzioni ambientali e promozione della cultura, del turismo e delle attività ricreative.

  1. Diversificazione

Il sostegno per la diversificazione delle attività socioeconomiche deve provvedere una cornice entro cui iniziative pubbliche e private si sostengano automaticamente: investimenti, assistenza tecnica, servizi e infrastrutture adeguate, educazione, corsi di istruzione, divulgazione e sviluppo di tecnologie informative, valorizzazione del ruolo dei piccoli centri come parte integrante delle aree rurali e come fattore chiave di sviluppo, promozione di uno sviluppo sostenibile delle comunità rurali e ristrutturazione dei Villaggi e dei Borghi

  1. Sostenibilità        

Promuovere uno sviluppo rurale, che tuteli la qualità e la godibilità dei paesaggi agrari europei (risorse naturali, biodiversità e identità culturale) in modo da evitare che il loro uso da parte della generazione contemporanea non ne pregiudichi le opzioni per le generazioni future. Nelle azioni locali occorre essere consapevoli delle responsabilità globali.

  1. Sussidiarietà

Considerata la diversità delle aree rurali dell’Unione, la politica di sviluppo rurale deve essere il più possibile decentrata e basata sul partenariato e sulla cooperazione tra tutti i livelli di competenza (locale, regionale, nazionale ed europeo). Si deve porre l’accento sulla partecipazione e su un approccio di tipo botton up, che accentui la creatività e la solidarietà delle comunità rurali. Lo sviluppo rurale deve essere guidato a livello locale e comunitario, nel quadro di un coerente contesto europeo.

  1. Semplificazione

Lo snellimento della legislazione in materia va affrontato radicalmente, privilegiando la possibilità di azioni locali e decentrate nell’articolazione della politica agricola comune; occorre maggiore coerenza delle azioni attualmente svolte attraverso canali separati, una limitazione della normativa comunitaria su regole generali e procedure, maggiore sussidiarietà nelle decisioni, decentramento nell’implementazione delle politiche e, in generale, più flessibilità.

  1. Programmazione

L’applicazione dei programmi di sviluppo rurale deve essere basata su due procedure coerenti e trasparenti e integrata in un unico programma per lo sviluppo rurale di ogni regione e su un unico meccanismo per lo sviluppo rurale e sostenibile.

  1. Finanziamenti

Indirizzare l’impiego di risorse finanziarie locali verso la promozione di progetti di sviluppo rurale a livello locale. Va incoraggiato maggiormente il ricorso all’ingegneria finanziaria nelle operazioni di credito rurale, per mobilitare meglio le sinergie tra finanziamento pubblico e privato, ridurre gli ostacoli finanziari per le piccole e madie imprese, promuovere gli investimenti produttivi e diversificare le economie rurali.

  1. Gestione      

Deve essere valorizzata la capacità e l’efficacia amministrativa di governi regionali e locali e di gruppi, dove necessario, attraverso la fornitura di assistenza tecnica, formazione, migliori comunicazioni, partenariato e divulgazione dei risultati della ricerca, informazioni e scambio di esperienze attraverso reti di collegamento fra regioni e fra comunità rurali in tutta Europa.

  1. Valutazione e ricerca

Sarà necessario potenziare il monitoraggio, la valutazione e l’analisi dei risultati per garantire la trasparenza delle procedure, assicurare un corretto impiego del denaro pubblico, stimolare la ricerca e l’innovazione e consentire un dibattito pubblico autorevole. Tutti gli operatori interessati non devono essere coinvolti soltanto in fase di progettazione e di implementazione, ma anche nelle operazioni di monitoraggio e valutazione.

Questi principi, insieme alla riforma del settore agricolo, per dare un nuovo impulso alla politica di sviluppo rurale e rendere le aree rurali più attraenti per gli utenti di ogni età, vengono messi al centro dell’Agenda 2030 e nella definizione delle prossime azioni strategiche dell’UE. Su queste premesse, la riforma della P.A.C. si concentra sule esigenze ambientali, sottolineando i nuovi ruoli multifunzionali dell’agricoltura.

Strategia dell’UE sulle Biodiversità – Obiettivi 2030

A livello europeo, il 2019 è stato, comunque, un anno di svolta dal punto di vista dell’ambiente ed in particolare del suolo. La nuova Commissione Europea, presieduta da Ursula von Der Leyen, ha lanciato il Green Deal europeo, che fornisce una serie di azioni volte ad accelerare l’efficienza nell’uso delle risorse verso un’economia pulita e circolare, restaurando la biodiversità e tagliando l’inquinamento. Il Green Deal Europeo include iniziative che comprendono misure per la protezione del suolo e il ripristino dei suoli degradati, in particolare la strategia per la biodiversità dell’Unione europea per il 2030 e il piano d’azione per l’inquinamento zero dell’aria, dell’acqua e del suolo. L’Europa e le Nazioni Unite ci richiamano alla tutela del suolo, del patrimonio ambientale, del paesaggio, al riconoscimento del valore del capitale naturale e ci chiedono di azzerare il consumo di suolo netto entro il 2050 (Parlamento Europeo e Consiglio, 2013), di allinearlo alla crescita demografica e di non aumentare il degrado del territorio entro il 2030 (UN, 2015).

In sintesi, gli obiettivi da raggiungere sono:

  • l’azzeramento del consumo di suolo netto entro il 2050 (Parlamento europeo e Consiglio, 2013);
  • la protezione del suolo anche con l’adozione di obiettivi relativi al suolo in quanto risorsa essenziale del capitale naturale entro il 2020 (Parlamento europeo e Consiglio, 2013);
  • l’allineamento del consumo alla crescita demografica reale entro il 2030 (UN, 2015);
  • il bilancio non negativo del degrado del territorio entro il 2030 (UN, 2015).

Il risanamento della natura costituirà un elemento centrale del piano di ripresa dell’UE dalla pandemia di coronavirus e offrirà immediate opportunità commerciali e di investimento per ripristinare l’economia dell’UE.; tre i settori economici chiave:

  • edilizia
  • agricoltura
  • alimenti e bevande

I costi economici e sociali di un mancato intervento includono:

  • la perdita di biodiversità e il collasso degli ecosistemi sono due delle minacce più gravi che l’umanità dovrà fronteggiare nel prossimo decennio;
  • coesione economica e sociale. Si calcola che il mondo abbia già perso tra 3 500 e 18 500 miliardi di euro all’anno in servizi ecosistemici tra il 1997 e il 2011 e tra 5500 e 10500 miliardi di euro all’anno a causa del degrado del suolo. La biodiversità è alla base della sicurezza alimentare mondiale e dell’UE. La perdita di biodiversità mette a rischio i nostri sistemi alimentari per la nutrizione;
  • riduzione delle rese agricole e delle catture di pesci, maggiori perdite economiche dovute alle inondazioni e ad altre catastrofi e perdita di potenziali nuove fonti di farmaci;
  • oltre il 75% delle colture alimentari a livello mondiale dipende dall’impollinazione animale;
  • in media, si prevede che il rendimento medio del riso, del granturco e del frumento su scala mondiale diminuisca tra il 3% e il 10% per ogni grado di incremento della temperatura oltre i livelli storici.

La Strategia sulle Biodiversità prevede i seguenti obiettivi:

  • portare al 30% (dall’attuale 26%) la superficie terrestre dell’UE in aree protette; di queste un terzo dovrebbero diventare rigorosamente protette;
  • un aggiornamento della strategia tematica dell’UE per il suolo nel 2021 per affrontare la questione del suolo in modo organico e contribuire a onorare gli impegni unionali e internazionali intesi a raggiungere la neutralità in termini di degrado del suolo;
  • previa valutazione d’impatto, la Commissione proporrà nel 2021 l’introduzione nell’UE di obiettivi di ripristino della natura giuridicamente vincolanti al fine di ripristinare gli ecosistemi degradati, in particolare quelli potenzialmente più in grado di catturare e stoccare il carbonio nonché di prevenire e ridurre l’impatto delle catastrofi naturali;
  • nell’ambito del programma di ricerca UE Orizzonte Europa, una missione nel settore “Prodotti alimentari e salute del suolo” è intesa a sviluppare soluzioni per ripristinare l’integrità e le funzioni del suolo;
  • il programma di lavoro 2021-2027 del Joint Research Centre della Commissione Europea ha incluso la creazione dell’Osservatorio Europeo per il Suolo. Riguardo ai suoli agricoli, la strategia ha definito degli obiettivi che vanno significativamente oltre le tendenze attuali e richiedono un cambiamento trasformativo:
    • adibire almeno il 25 % dei terreni agricoli all’agricoltura biologica (siamo a circa l’8% nell’UE) e aumentare in modo significativo la diffusione delle pratiche agro ecologiche;
    • ridurre del 50% i rischi e l’uso dei pesticidi chimici e fare altrettanto riguardo all’uso dei pesticidi più pericolosi;
    • destinare almeno il 10% delle superfici agricole ad elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità (alcune stime riportano un valore attuale di circa 4%).

Per quanto riguarda il consumo di suolo, l’impermeabilizzazione del suolo e la riqualificazione dei siti dismessi contaminati, la strategia per la biodiversità afferma che saranno trattati nell’ambito dell’imminente strategia per un ambiente edificato sostenibile. La strategia per la biodiversità, inoltre, afferma la necessità di passi avanti sostanziali nel censimento dei siti contaminati e asserisce l’impegno di realizzare progressi significativi nella bonifica dei suoli contaminati per il 2030. Il piano d’azione per l’inquinamento zero è mosso dall’ambizione di azzerare l’inquinamento eliminando le sostanze tossiche dall’ambiente ed è previsto nel 2021.

Linee progettuali che comprendono sia riforme che investimenti

  1. Rafforzare la capacità previsionale degli effetti del cambiamento climatico:
    • Investimento 1.1: Realizzazione di un sistema avanzato ed integrato di monitoraggio e previsione
  1. Prevenire e contrastare gli effetti del cambiamento climatico sui fenomeni di dissesto idrogeologico e sulla vulnerabilità del territorio:
    • Riforma 2.1: Semplificazione e accelerazione delle procedure per l’attuazione degli interventi contro il dissesto idrogeologico
    • Investimento 2.1: Misure per la gestione del rischio di alluvione e riduzione del rischio idrogeologico
    • Investimento 2.2: Interventi per la resilienza, la valorizzazione del territorio e l’efficienza energetica dei Comuni
  1. Salvaguardare la qualità dell’aria e la biodiversità del territorio attraverso la tutela delle aree verdi, del suolo e delle aree marine
    • Riforma 3.1: Adozione di programmi nazionali di controllo dell’inquinamento atmosferico Investimento
    • Investimento 3.1: Tutela e valorizzazione del verde urbano ed extraurbano
    • Investimento 3.2: Digitalizzazione dei Parchi Nazionali Investimento
    • Investimento 3.3: Rinaturificazione dell’area del Po Investimento
    • Investimento 3.4: Bonifica dei siti orfani
    • Investimento 3.5: Ripristino e tutela dei fondali e degli habitat marini
  1. Garantire la gestione sostenibile delle risorse idriche lungo l’intero ciclo e il miglioramento della qualità ambientale delle acque interne e marittime
    • Investimento 4.1: Investimenti in infrastrutture idriche primarie per la sicurezza dell’approvvigionamento idrico
    • Investimento 4.2: Riduzione delle perdite nelle reti di distribuzione dell’acqua, compresa la digitalizzazione e il monitoraggio delle reti
    • Investimento 4.3: Investimenti nella resilienza dell’agrosistema irriguo per una migliore gestione delle risorse idriche
    • Investimento 4.4: Investimenti in fognatura e depurazione
    • Riforma 4.1: Semplificazione normativa e rafforzamento della Governance per la realizzazione degli investimenti nelle infrastrutture di approvvigionamento idrico
    • Riforma 4.3: Misure per garantire la piena capacità gestionale per i servizi idrici integrati

Riferimenti bibliografici

Marco Casini, Costruire L’Ambiente, edizioni Ambiente, Milano, 2014

Bianca Bottero (a cura di), Progettare e costruire nella complessità. Lezioni di Bioarchitettura, Liguori, Napoli, 1994

Lloyd Jones, Atlante di Bioarchitettura, Utet, Torino, 1998

Uwe Wienke, Dizionario dell’edilizia bioecologica, DEI, Tipografia del Genio Civile, 2001

Giuseppe Fera, Urbanistica teorie e storie, Gangemi editore, Roma, 2002

Osservatorio Ambiente “Val D’Agri”, 2014

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